Quando i cosmetici erano mortali
"La cerussa", un bianco per una pelle bianchissima per sfoggiare in ogni occasione mondana un viso di porcellana.
Era questo il miglior biglietto da visita delle nobildonne veneziane che volevano trovare marito: un biancore che fosse simbolo di purezza, ma che nascondesse anche gli eventuali segni lasciati dalle scarse norme igieniche o da malattie.
Ad aiutare le donne a raggiungere questo risultato c’erano gli spezieri e i muschieri, che preparavano acque profumate e impacchi di bellezza. Ma spesso questi intrugli non bastavano a raggiungere lo scopo.
Le dame si applicavano su tutto il viso e sul décolleté uno strato di cerone, la cerussa.
Una sorta di cipria, in polvere, che veniva per comodità lavorata sotto forma di palline, lasciata seccare e poi ridotta di nuovo in polvere, all’occorrenza, con un mortaio.
Le polveri erano composte da metalli altamente tossici, come il bianco di piombo, chiamato “biacca” – prese il nome di cerussa perché richiamava il candore della cera delle candele - o il sublimato di mercurio, chiamato anche “fuoco di Sant’Elmo”, che mangiava le rughe, le cicatrici e, purtroppo, anche i lineamenti.
Un cerchio senza fine: perché il risultato era che le donne applicavano una maggior quantità di preparato per coprire i segni che deturpavano il volto.
Per farlo aderire meglio, a volte veniva mescolato con l’albume, ma questo si rompeva sotto i movimenti del viso, quindi era rigorosamente vietato perfino sorridere.
All’applicazione di questa copertura col tempo seguivano infiammazioni agli occhi, caduta di capelli e sopracciglia (che venivano sostituite da sopracciglia posticce in pelliccia di talpa e topo), annerimento dei denti, paralisi, infertilità.
Si poteva arrivare anche alla morte.
Insomma, belle da morire non era poi solo un modo di dire.Dopo aver applicato il belletto, le dame veneziane applicavano un rosso acceso sulle gote, un rouge o fard preparato con zafferano turco, resine, legno del brasile, sandalo e cocciniglia.Oppure la preparazione dei cosmetici prevedeva metalli e minerali come il cinabro, vermiglio e minio, anche questi velenosi per la pelle.
Per togliere il cerone non si usava acqua e sapone ma un detergente con ingredienti altamente dannosi: una miscela contenente gusci d’uovo, allume e mercurio.
Questo poteva dare l’impressione di lasciare la pelle morbida e liscia, ma era solo dovuto al fatto che il mercurio la corrodeva.
Una vittima della cerussa fu Elisabetta I che nel 1562 contrasse il vaiolo che le lasciò il viso butterato.
Poiché la regina era sempre stata orgogliosa della sua bellezza, temeva che ciò potesse rovinare la sua immagine, con quella pelle perfettamente chiara, l’aspetto tipico delle classi più alte, della nobiltà e della perfezione terrena.
Iniziò allora a coprirsi le cicatrici con un pesante strato di trucco bianco, usando quella che era conosciuta come la “cerussa veneziana”, o ” spirito di Saturno”, che la aiutava a ripristinare la sua carnagione liscia e bianca.
Per completare il look, Elizabeth utilizzava anche pigmenti rosso vivo sulle labbra che erano a base di cinabro, un minerale tossico contenente mercurio.
Negli ultimi anni del suo regno, la regina conduceva una lotta senza sosta nel tentativo di nascondere i segni del tempo.
Ma quando nel 1599, il conte di Essex la vide in camicia da notte, senza parrucca e trucco, rimase scioccato dallo spettacolo.
Fin dal Medioevo, Venezia fu uno dei principali luoghi di produzione in Europa della biacca, in dialetto “sbiaca”, che era utilizzata anche come pittura o medicamento.
La sua biacca era tanto famosa da far sì che questo colore fosse noto anche come “bianco veneziano”, o “bianco di Venezia”.
Oggi ne rimane traccia nella toponomastica cittadina, come Calle de la Sbiaca, vicino al Rio Novo, dove esisteva una rinomata bottega del pregiato bianco veneziano.
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